landing page efficace

Palestra Invincibile

Siamo tutti egoisti? Perché le pubblicità sull’Africa non ci spingono a donare.

[Copywriting] Come si potrebbero ottenere più donazioni con una semplice modifica nello storytelling.

 Ho visto lo spot di Sightsavers durante un dopo pranzo, mentre avevo Sky in sottofondo e scorrevo le notifiche sul cellulare. All’improvviso è partito lo spot e devo dire che mi ha subito colpito: sono un grafico, per metà della mia vita tra le cose più importanti c’è stato il disegno, e l’idea di perdere la vista mi fa sempre un certo effetto.

Lo spot è bello, è forte, e mi ha colpito, quindi chi lo ha realizzato ha fatto un ottimo lavoro, ma come il 99% degli spot di questo tipo credo che abbia un problema di fondo che lo rende poco efficace.

Appena terminato lo spot ho avuto la sensazione che qualcosa non andasse e che forse si poteva migliorare; ho così pensato di dare un cofntributo che andasse oltre ai 10 euro al mese. Lavorando ogni giorno su pagine di vendita e avendo studiato un po’ di psicologia cognitiva so che il mio contributo poteva andare oltre e così ho dedicato una nottata a ragionare sul problema.

Purtroppo non ho avuto risposte ma ho pensato che il mio ragionamento avrebbe potuto essere utile ad altre associazioni, ad altri operatori della comunicazione che, magari in futuro, si potrebbero trovare a presentare una campagna di questo tipo.

Così ho scritto questo post.

 

Ovviamente la mia ipotesi potrebbe non essere corretta, nessuno ha la verità in tasca, ma se davvero quello che ho evidenziato fosse un problema che limita la raccolta fondi? Il volume delle donazioni raccolto potrebbe cambiare radicalmente.

La comunicazione della maggior parte della associazioni che aiuta l’Africa, secondo me, ha un grave problema di fondo che la rende inefficace sul grande pubblico in modo direttamente proporzionale al reddito (più hai soldi e sei distante da certe situazioni sociali, meno doni).

Guarda lo spot e prova a pensarci, come esercizio.

Questa comunicazione già forte si può migliorare ancora?

Quando ho fatto questa stessa domanda e ho postato il video nel gruppo segreto di Facebook sono emerse diverse idee interessanti. La più vicina alla mia idea è stata Valentina che ha parlato di tone of voice: ha ragione, è verissimo, non puoi convincermi a fare qualcosa facendomi sentire in colpa… e anche questo è un elemento comune a campagne sociali di questo tipo.

Ma c’è un’altra cosa, ancora più rilevante, che credo ci renda quasi impermeabili a questo tipo di spot.

Secondo me questo spot ha un problema enorme, Talla (e il modo in cui viene raccontata).

Esiste un meccanismo molto forte nel nostro cervello che attribuisce più importanza alle informazioni che riusciamo ad evocare prima e, al tempo stesso, ci impone di distribuire la nostra attenzione in modo selettivo, favorendo chi è più simile a noi. 

Evolutivamente, se ci pensi, è corretto e giusto. Aiutare chi ci è vicino e “appartiene al nostro gruppo” ci aiuta a sopravvivere ma siamo ormai lontani dalla nostra condizione biologica di scimmie scese dall’albero e alcuni meccanismi dovrebbero essere superati. Purtroppo non è così.

Non ci credi? Pensi sia una cosa triste e quasi inumana? Sono stati fatti moltissimi test a riguardo e tutti hanno concordato in un’unica direzione: aiutiamo le persone più simili a noi.

Ecco un toccante spot dell’Unicef che ce lo dimostra, giocando ed evidenziando proprio questo aspetto del nostro modo di agire e la nostra indifferenza verso il “diverso”.

Considera che questa bimba Rom, che comunque nessuno ha aiutato neanche per sbaglio, è molto più simile ai nostri figli e nipoti di quanto non sia Talla. I suoi vestiti sono più simili ai nostri, la pelle è bianca (si, lo sto dicendo) ed è inserita in un ambiente che conosciamo. Ma non appartiene al nostro gruppo e, quindi, fatichiamo di più a provare empatia.

È triste, ma i nostri meccanismi evolutivi funzionano in questo modo e chi commissiona campagne di questo tipo dovrebbero tenerne conto. Se Daniel Kahneman ha vinto un nobel per l’economia per i suoi studi, ed è uno psicologo, credo che qualche correlazione tra come siamo fatti e come agiamo ci sia.

Proteggiamo il nostro gruppo, chi è più vicino e simile a noi e quindi, automaticamente, ci allontaniamo da chi non lo è. Visto che ci consideriamo “animali evoluti” dovremmo andare oltre e aiutare comunque il prossimo (strana parola a proposito eh? significa “più vicino”).

Come funziona la simpatia e l'effetto di prossimità

Un incidente in piscina fa meno effetto di un attentato terroristico e una bambina ammalata nel nostro palazzo ci colpisce di più di una bambina altrettanto malata in Australia, e ancora di più di una bambina malata in Africa.

Ecco un effetto diretto di questo nostro modo di ragionare:

Sezione Siamo tutti egoisti? Perché le pubblicità sull'Africa non ci spingono a donare.

Aiutiamo chi è più simile a noi e quindi quando sentiamo parlare di Africa la nostra empatia si spegne un po’. Vivono altre condizioni, altre vite, altre realtà. Non sono come noi.

Siamo “progettati così” nel senso più profondo del termine. È per questo motivo che i maggiori sostenitori delle varie associazioni che combattono un male sono proprio le persone che da quel male sono state colpite. È tutto invisibile, impalpabile fino a quando non siamo noi ad esserne colpiti.

Da operatori della comunicazione il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di RIDURRE le distanze per ottenere lo scopo per cui lo spot è creato, sfruttando le scorciatoie del modo di ragionare delle persone.

Conoscendo questi meccanismi, come comunicatori, cosa dovremmo fare per ridurre al minimo l’effetto di questa distorsione cognitiva per aiutare DAVVERO Talla?

Ecco la mia idea.

Il primo passo, secondo me, sarebbe occidentalizzarli il più possibile. Niente mosche, niente bimbi a terra, niente sguardi tristi. Dobbiamo far percepire che sono come noi, più poveri, ma come noi. Che Talla potrebbe essere Sara. Racconterei tutta la storia in soggettiva, vista dagli occhi di Talla, mentre guarda una maestra, bianca, che spiega la lezione del giorno a scuola. Farei vedere lo sguardo che si appanna e continuerei tutto il video senza immagini. Solo alla fine direi che Sara vive in Africa e che è nera e povera (che poi, devo proprio dirlo? È così importante ai fini del racconto?).

Il colore della pelle è (e deve essere) un dettaglio, così come il luogo in cui si svolge la storia. SONO BAMBINI. Rivelandolo solo alla fine il legame emotivo con lo spot sarebbe molto più forte ed è solo attraverso le emozioni che possiamo spingere le persone ad agire e donare, superando lo scoglio del RID (cosa non da poco, oggi).

Ecco come avrei modificato lo spot:

Schermo buio, si sente solo la voce. Ogni tanto, qualche lampo veloce rosso.

Sara ha solo 5 anni.
Ha gli occhi rossi e irritati e, mentre se li strofina con la maglietta,
non sa che così peggiora solo le cose.

Il tracoma è un’infezione che si diffonde rapidamente e che porta le ciglia a rigirarsi
verso l’interno. È molto doloroso e, alla fine, porta alla totale perdita della vista.

Sara, presto, sarà non vedente.

Ma se una bambina così piccola perde la vista oggi, come cambierà la sua vita?

Ancora qualche secondo di buio e silenzio, solo lo schermo nero. Poi entrano sfuocati, in soggettiva, un uomo e una donna (dottori bianchi) che si avvicinano al soggetto, sorridendo perché ha aperto gli occhi e comincia a mettere a fuoco.

Ma Sara è fortunata, qualcuno ha pensato a lei e oggi è completamente guarita.
Si perché moltissime persone, che magari conosci, ci stanno aiutando in questa battaglia.
Curare il tracoma è facile, con i giusti mezzi, e presto potremmo sconfiggerlo del tutto.
Il costo della cura è basso, anzi bassissimo, se paragonato al valore della vista.

E se ti dicessi che anche TU, ora, puoi ridare la vista ad una bimba?
Che puoi farlo in questo momento, evitando che perda per sempre la vista?

Ogni mese, con soli 9 euro, puoi salvare due intere famiglie dalla cecità.

Aiutare bambine come Sara è davvero semplice e richiede solo due minuti del tuo tempo, ma ti renderà orgoglioso a lungo. Farai una cosa grande e per questo, ogni tanto, ti sentirai bene. Felice.

Grazie davvero, di cuore.

Le immagini, finora sfuocate, si mettono a fuoco e si vede una bambina di colore che gioca contenta insieme a tanti altri bambini.

Non chiudere gli occhi.
Chiama ora 800…

È più forte, vero? Questa tecnica dovrebbe essere utilizzata da chiunque voglia ottenere empatia dai fruitori di uno spot (ad esempio per generare donazioni). Sapere che una cosa è comune, che ci può capitare, che le persone che soffrono di una tal malattia erano esattamente come noi, funziona.

Significa che quindi in questo tipo di comunicazioni è tutto da rifare? NO, significa che varrebbe la pena fare dei test, provando a gestire il problema da un punto di vista differente. Io non ho la verità in tasca, ma credo che varrebbe la pena approfondire.

Con le Landing Page avviene la stessa cosa

Devi sempre lavorare pensando ad avvicinare a te le persone, eliminando ogni possibile barriera. Devi parlare il linguaggio dei tuoi clienti, usare le loro parole, chiamare i benefit come li chiamano loro e offrire ESATTAMENTE le cose che LORO ritengono importanti.

Devi fare in modo che si immedesimino nei soggetti che sono ritratti nelle foto del tuo sito e nelle tue referenze.

Dobbiamo “avvicinare”.

Esiste un errore molto evidente che viene commesso dal 90% dei pubblicitari, ma anche da chi si occupa di formazione. Me ne sono accorto anche in occasione del Web Marketing Training che si è tenuto in Sardegna il 25 giugno.

Il pubblico era molto giovane e interessato ai temi proposti ma faticava molto a seguire gli interventi, specie quando si parlava di tecnicismi o si usavano definizioni in inglese.

Ma se in alcuni casi i tecnicismi sono d’obbligo, perché complicarli ulteriormente con l’inglese? Perché parlare di “conversion rate optimization” quando si può utlizzare “aumento dei risultati” o “engagement” quando “coinvolgimento degli utenti” sarebbe più facile da capire?

Ho avuto la fortuna di vedere questo straordinario video di Annamaria Testa prima di scrivere il libro e grazie a lei ho cambiato molto il mio modo di esprimermi, cercando di limitare sempre al minimo i termini in inglese.

Pensa che il titolo iniziale del libro era “L’Offerta Invincibile” e non “landing page efficace”… ma questa è un’altra storia, magari un giorno te la racconterò.

Spero che il post ti sia piaciuto!

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